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Il cognac medicinale. Storia di un farmaco semiserio

di Thomas Pennazzi

10/03/2016 – 09:502 commenti

Il distillato di vino ha avuto un uso medicinale in diverse epoche: si tratta di una storia interessante che vi racconterò per una volta da dietro il bancone dello speziale, ma con il bicchiere in mano.

Alle origini c’è l’illustre Scuola Salernitana, che intorno all’anno Mille forgiava i medici medievali, dove si insegnava agli allievi meritevoli anche l’esoterica alchimia. La distillazione era probabilmente già ben conosciuta, anche se convenzionalmente la si fa risalire al 1148 con la traduzione latina di un testo alchemico arabo, il Morienus.

Ciò che usciva dagli alambicchi medievali era un alcool di vino parecchio impuro di flemme, ma che curava a meraviglia, benché il concetto di disinfettante all’epoca fosse ben lontano da venire. I medici di allora se ne servivano per uso esterno come ritrovato miracoloso per ogni cancrena e putrefazione dell’organismo. Del distillato di vino ne scriveva tra i primi nel 1260 Taddeo Alderotti, professore di medicina ed alchimia a Bologna in un capitolo dei suoi Consilia: «ad faciendam aquam vitae, que alio nomine dicitur ardens» (1).

Col trascorrere degli anni si imparò invece come usare per via orale l’aqua ardens conservata in botte: nel 1310 fu magister Vital Du Four, medico e abate nella Contea di Armagnac, a raccontarne le virtù in un suo celebre manoscritto (2). Ma in Romagna i monaci dovevano esserne già assidui fabbricanti, se dobbiamo dar credito al Capitolo Provinciale dei Domenicani tenuto a Rimini nel 1288, che vietava ai confratelli la fabbricazione dell’aqua vitae ed ordinava loro la distruzione degli alambicchi (3). Il motivo di questo draconiano divieto, viene facile pensarlo, poteva essere unicamente che i fraticelli stavano corrompendosi l’anima ed il fegato a forza di alzare il gomito.

Fino al 1600 circa, quando gli Olandesi apportarono notevoli migliorie all’alambicco a ripasso (pot still), lo spirito di vino era piuttosto disgustoso per la presenza di esteri maleodoranti ed alcoli superiori, e rimaneva perciò confinato agli usi viziosi del popolino.

Chi poteva permetterselo invece comprava aqua perfecta, cioè uno spirito distillato ben sette volte, oggi diremmo rettificato. I ricchi lo bevevano solo «cum zuccaro et spetie», status symbol di allora, perché questa acquavite era priva di sapore: ecco nascere quindi i liquori attraverso l’arte degli antichi speziali. Presto l’uso degli spiriti aromatizzati divenne universale tra coloro che potevano concedersi questi lussi.

Per voluttuario che fosse il suo consumo, il brandy nei secoli si era ritagliato alcune virtù medicinali per esperienza empirica, e veniva impiegato in tutte le forme pettorali come usavano dire i medici di allora, influenza raffreddore o bronchite non importa: un’eredità culturale di quest’epoca trascorsa è ancora oggi l’uso popolare del «latte e cognac» con le medesime indicazioni.

Un’altra indicazione popolare, per nulla inesatta, era l’impiego dell’acquavite come sonnifero: fino alla scoperta dei barbiturici (1903) le uniche armi terapeutiche nelle mani dei medici erano i derivati dell’oppio e l’alcool in dosi adeguate. Lo testimoniano numerose opere letterarie: curioso il carteggio fra Giovanni Pascoli ed i suoi congiunti (4), in cui il poeta veniva redarguito a non abusare ora del laudano, ora del cognac, per i suoi disturbi nervosi. Ma altri poeti, ancora meno morigerati, adoperavano il “diabolico” assenzio.

L’acquavite di vino, nel tempo diventata celebre come “coniack brandy”, un bel giorno fece il suo ingresso trionfale in farmacia sul carro della Scienza. L’introduzione del distillato francese nelle farmacopee anglosassoni e in quelle di molti altri paesi risale all’inizio del Novecento (nel 1898 nella British Pharmacopoeia, nel 1905 nella U.S. Pharmacopoeia), con tanto di titolo alcolico e di saggi analitici di purezza, come prescrive la scienza farmaceutica. Il cognac resterà nei libri sacri alla Magnifica Arte con il solenne nome di Spiritus Vini Gallici fino alla fine della seconda guerra mondiale, per poi sparire, sopraffatto da analettici più moderni ed efficaci. Il cognac medicinale trovava impiego nelle situazioni di emergenza, per stimolare la funzione circolatoria: veniva infatti somministrato generosamente in caso di ipotermie, collassi ed infarti cardiaci.

Per poter essere usato come farmaco il cognac andava preparato secondo precise regole: in particolare erano vietati gli additivi tradizionali. Non dovevano esservi disciolti né zucchero, né caramello, né estratti di legno, né si poteva diluirlo con acqua a 40°; ma si impiegava fino al 60% in volume «for good cognac»; perciò si trattava di un cognac più puro e concentrato del normale. L’Österreichisches Arzneibuch (Farmacopea Austroungarica) ne prescriveva un titolo alcolico compreso tra 44° e 48°.
Conseguenza dell’introduzione dell’acquavite di vino nei repertori ufficiali dei medicamenti, presto fiorirono imbottigliamenti sia francesi che italiani di «cognac medicinal» corrispondenti alle specifiche farmaceutiche. Tra le tante aziende, quella che fece più fortuna con questo tipo di distillato fu la Stock di Trieste, allora austriaca.

Nella magnifica farmacia in stile Liberty di Piazza del Campo a Siena è tuttora visibile un’istantanea di questa belle epoque medicinale: su una delle ante del mobilio figura in bella vista la scritta «Cognac delle primarie Case». Inoltre la pubblicistica di primo Novecento è ricca di opere grafiche reclamizzanti cognac medicinali di ogni marca, nostrane e forestiere.

Durante gli anni bui del Proibizionismo negli Stati Uniti (gennaio 1920/febbraio 1933) il cognac, per il bizzarro effetto collaterale della sua classificazione medicinale, era, assieme al bourbon whiskey a 100° proof (bottled in bond), tra i rari spiriti legalmente disponibili, naturalmente su ricetta e in farmacia. Potete immaginarvi quanti “ammalati” facessero ricorso al prelibato farmaco! Ciò salvò dal fallimento anche parecchie case produttrici francesi, che in America avevano un fiorente mercato, permettendo loro di continuare a regime ridotto le esportazioni, una volta adeguata l’etichetta alla legge.

Nello stesso periodo si sviluppò una trattatistica scientifica sull’argomento: il piccolo ma capitale lavoro di Robert Delamain (5), primo storico del cognac, riporta un sapido capitoletto intitolato «Le cognac agent therapeutique». Il Delamain, elencando con erudita sapienza le trasformazioni chimiche del distillato lungo gli anni ed il ruolo indispensabile della botte di quercia, attribuiva alla sua frazione alcolica un effetto cardio‑regolatore ed eupeptico; ma dove si faceva ardito era nel conferire alla sua frazione «non-alcool» cioè ai congeneri in questo disciolti virtù toniche, diuretiche, battericide, ed un’incontestata efficacia «nelle malattie febbrili, influenzali, polmonari e tifoidi» con tanto di papers scientifici a margine del suo testo, come in un lavoro scientifico odierno.

Egli notava tra l’altro che fra i lavoratori dei suoi chais – e lui figlio di un’illustre dinastia di produttori poteva ben esserne al corrente – non si conosceva la tubercolosi, spiegando che ne attribuiva il motivo all’eliminazione per via polmonare dei congeneri «battericidi» disciolti nell’alcool del cognac. Inoltre riferiva il parere di un celebre clinico del tempo sulla potente azione fisiologica di questa frazione «non‑alcool» del «vrai vieux cognac», considerata di efficacia superiore a qualunque altro spirito a parità di tenore alcolico. Musica per le orecchie dei Delamain! Di sicuro tanta enfasi era interessata, tra qualche ingenuità e un fondo di verità empirica; ma ci restituisce lo spirito del tempo.

Ancora oggi si dibatte sulle proprietà medicinali di questo alcolico: un recente studio (6) finlandese ha misurato il miglioramento della reattività coronarica indotto dal distillato su giovani sani, concludendo che il cognac è inefficace, ma riscontrandone una significativa azione antiossidante nel sangue, in virtù dei polifenoli disciolti nell’alcool.

Per ultimo, è noto l’uso dello spirito gallico per frizioni esterne, per inalazione e in gocce orali, ancora tradizionalmente molto adoperato nei Paesi di lingua tedesca con il corrispondente nome di Franzbranntwein. Ormai si impiega uno spirito neutro, non più certo cognac come un tempo, in cui si sciolgono canfora, mentolo, e un olio di pino o pino mugo.
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1. Taddeo Alderotti – I Consiglia – trad. a cura di G.M. Nardi – Torino, 1937

2. Vitalis card. de Furno, – Pro conservanda sanitate liber utilissimus – apud Ivonem Schoeffer – Moguntiae, 1531 (dal manoscritto – Bibl. Vat. – 1310)

3. Colnort-Bodet, Suzanne – Le Code Alchimique dévoilé. Distillateurs, Alchimistes et Symbolistes; pag. V – Honoré Champion – Paris, 1989

4. Pascoli, Archivi dei Beni Culturali

5. Delamain, Robert – Histoire du Cognac; pag. 130 – Ed. Stock – Paris, 1935

6. Effects of cognac on coronary flow reserve and plasma antioxidant status in healthy young men; Tuomas O Kiviniemi et al., Department of Clinical Physiology and Nuclear Medicine, Turku University Hospital, Turku, Finland, 2008

Da https://www.intravino.com/grande-notizia/il-cognac-medicinale-storia-di-un-farmaco-semiserio/

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