Anche qui guardano il dito e non la luna:
Ubuntu, una delle distribuzioni Linux più popolari al mondo, sta per compiere una svolta epocale: abbandonare GNU/Linux per abbracciare tecnologie moderne,
Non è una questione di “evoluzione tecnologica” e di “rimanere al passo coi tempi”.
Vogliono prendere programmi di base, robusti, che funzionano bene, che da decenni risultano stabili e sottoposti a controlli minuziosi e di comprovata sicurezza con qualcosa scritta ex-novo in Rust, che è certamente un buon linguaggio ma non è la panacea di ogni male.
Inoltre la stragrande maggioranza dei commentatori non colgono la questione fondamentale: non è se siano scritti in Rust, in C, Assembly o Visual Basic cambi qualcosa, ma il fatto che la licenza che useranno, ossia “tipo MIT” permette di re-impacchettare il tutto e renderlo proprietario.
Linux e BSD son nati praticamente negli stessi anni. Linux ha prosperato perché ha usato licenze persistenti, mentre BSD è rimasto di nicchia perché la sua licenza non è persistente, esattamente come la MIT.
Il vero problema è che la maggior parte delle persone non coglie questo aspetto fondamentale.
La General Public License in tutte le sue edizioni rende persistenti le libertà che il suo autore concede a chi riceve la sua opera (il codice). Si dice che è una licenza a permesso d’autore ossia “copyleft” in inglese (letteralmente “permesso alla copia”) con un evidente e voluto gioco di parole in apparente contrapposizione con il “copyright” cioè il diritto alla copia. Le licenze di software libero non copyleft come quelle tipo BSD e MIT non sono persistenti, chiunque può prendere il codice e chiuderlo dentro ad un prodotto proprietario.
Giova una lettura a “Licenze varie e commenti relativi” sul sito della Free Software Foundation