Io non lo so se da piccolo ridevo così tanto per colpa dei Galli, dei Romani scemi o perché mia madre mi dava un Buondì e mi faceva sedere davanti alla TV, ma “Le 12 fatiche di Asterix” m’ha sempre fatto piegare in due. E adesso che l’ho rivisto da adulto — con le occhiaie, i pensieri, mi fa ancora ridere. Forse di più. Anzi, diciamo la verità: questo film è un capolavoro mascherato da cartone per bambini. Una roba geniale travestita da risata facile. E invece è veleno comico purissimo. Una mina.
Siamo nel 1976, mica ieri. Eppure questo film ha la lucidità di uno che guarda il mondo di oggi. Gli autori, Goscinny e Uderzo, erano avanti anni luce. Facevano ridere senza fare i cretini, e prendevano per il culo tutto e tutti con leggerezza, ma col cervello acceso.
Giulio Cesare, stanco di prendere pizze dai Galli ogni due per tre, dice: “Ok, ‘sti tizi devono essere dei dei. Li mettiamo alla prova”. E allora organizza 12 fatiche, alla maniera di Ercole, che i nostri Asterix e Obelix devono superare. E lì parte l’avventura. Ma che avventura. È un viaggio assurdo, satirico, grottesco, a tratti pure psichedelico. Ogni prova è una critica, un delirio, una bomba comica. Ma non è solo questione di battute: è ritmo, è regia, è musica, è facce disegnate che ti parlano più di mille attori.
Ogni prova è uno sketch, ma non fine a sé stesso: è costruito con logica, con un’ironia che non invecchia. C’è dentro Kafka, Monty Python, Totò, e pure un po’ di Fantozzi, anche se questo film è uscito prima di tanti di quei riferimenti. È come se avessero aperto il cervello della società e ci avessero sputato dentro dei galli matti per riderne. E per svegliarci.
Che poi oh, l’animazione è del ‘76, mica Pixar. Ma è calda, viva, non ti dà mai l’idea di qualcosa di plastico. I personaggi si muovono col ritmo giusto, ogni espressione facciale è un pugno comico in faccia. E poi quei colori sgargianti, le musiche orchestrali mescolate con suoni elettronici scrausi… sembra una follia ma funziona tutto. C’è un equilibrio strano, come una festa di paese in acido, ma che ti lascia contento.
Parliamoci chiaro: Asterix è il cervello, Obelix è il cuore (e pure il fegato, il panino, la pancetta, l’intero cinghiale). Insieme sono una coppia comica perfetta. Asterix pensa, capisce, fa lo sguardo intelligente. Obelix invece è un bue con la dolcezza di un bambino: “Sono caduto dentro la pozione da piccolo!” e non ha bisogno di altro. Non c’è mai un momento in cui uno ruba la scena all’altro, sono una squadra, e funzionano come l’orologio svizzero di un fabbro ubriaco. Male, ma benissimo.
Parentesi a parte per La casa che rende pazzi. Per me è l’apice del film. Un’opera d’arte vera. Una metafora della burocrazia che t’inghiotte, ti sfianca, ti fa girare in tondo, ti tratta come carne morta. Uscire con il modulo A38 è come cercare la felicità in un call center. Asterix impazzisce, Obelix perde la pazienza… e alla fine vincono con la furbizia, mica con la forza. È un pezzo che dovrebbero proiettare al Parlamento Europeo. O all’INPS.
Si ride tanto. Ma tanto tanto. C’è un umorismo che funziona, ma c’è anche una satira velenosa sotto ogni battuta. Ti viene da ridere, poi ci pensi due secondi e dici: “Cazzo, ma questi hanno ragione”. E allora ti viene da ridere di più. È un giro vizioso, ma bello. Non è un film per bambini, è per tutti. Ma se lo vedi da adulto ti prende a schiaffi meglio.
Non spoilero, anche se oh, è del ‘76. Ma diciamo che Goscinny e Uderzo se ne fregano della coerenza narrativa. Vogliono divertirsi, mandarti a casa col sorriso. E ci riescono. È una chiusura folle, anarchica, perfetta. Un bel dito medio elegante al realismo. Come dire: i cartoni sono libertà, mica devono finire come i film di guerra.
Le 12 fatiche di Asterix” è un viaggio nella stupidità umana, nei meccanismi che ci schiacciano, nel ridicolo della società. Ma senza pesantezza, senza moralismi. Solo con due Galli, una pozione magica, e una risata che dura da cinquant’anni. Se non lo riguardi almeno una volta ogni due o tre anni, vuol dire che qualcosa dentro si è spento. E allora prenditi un Buondì, mettiti comodo, e vai a vedere quei due galli prendere a calci l’Impero. Che poi è sempre lo stesso, solo con nomi diversi.
Per me, capolavoro vero.
E non lo dico da critico. Lo dico da uno che si è fatto le ossa con Asterix, Bud Spencer, Ken il Guerriero e le patate lesse. Cioè da uno serio.
Oh, the irony of this naming, it tells a lot about the life-long friendly competition between KDE and Gnome! Someone would have to write a book on hackers’ naming schemes and its history…
Mi sembra opportuno ricordare che quest’anno festeggiamo il duocentenario di un’opera fondamentale della musica, il celeberrimo Duetto buffo di due gatti.
Gustatelo in questa frizzante esecuzione!
Natalie Dessay & Camille – Rossini: Duetto buffo di due Gatti – 2009 – https://www.youtube.com/watch?v=i08Zsaldocc
Sì, è orrida AI trovata in rete a cavolo. Ma sì, sarebbero stati perfetti.
Avremmo avuto
Anche i nani mangiano fagioli
Chi trova un amico, trova il tesoro
Mithril joe
Lo chiamavano Thranduil
Io non sto con gli urukhai
Io sto con gli olifanti
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